Avvertimenti (gennaio 2020)

Racconto inserito nella raccolta “Racconti Toscani 2020” di Historica Edizioni

Proprio oggi mi accingevo a fare il solito giro con i miei cani, pensando ai problemi di distanze permesse. Nel Veneto al momento sono possibili 200 metri lontani da casa per le semplici camminate.

Questo giro familiare è una specie di anello creato dalla mia fantasia più che altro, eppure nella mente appare come un percorso esattamente circolare e relativamente lungo.

Quindi di questi tempi, un tragitto giustificato.

Durante i passi tornavo coi pensieri a diverse possibilità. Per esempio guardavo il viso in un ritratto di un ragazzo moro e ricciuto, sul manifesto della mostra a Palazzo Pubblico. Era enorme e mi ricordava qualcuno.

Mi soffermavo sulla scritta, «Aperta tutti i giorni», diceva. «E sì» pensavo «Non serve apporre correzioni al manifesto, tutti sanno che non è così. Nessuno può ipotizzare oggi quando riaprirà quella mostra e tutte le mostre in Italia».

Eppure gli avvisi non contrastavano con la realtà, chi si sarebbe sognato di contraddirli… La realtà era talmente ovvia da non dipendere più da nulla. Di visibile almeno.

Era nell’aria, negli sguardi dei rari passanti e nell’abitacolo dell’unica auto che passava.

Chissà dove andava di domenica, forse in ospedale? A lavorare?

E all’improvviso uno dei miei passi mi sollevò un ricordo dandomi una sensazione strana, irreale.

Era un sabato mattina soleggiato, quando? Non lo so, c’erano ancora gli studenti a Siena, le scuole erano aperte, credo tutto fosse normale. Prima del Corona Virus. Della Pandemia. Della grande chiusura, io mi ostino a darle un nome italiano. Ancor’oggi. Non lo fa quasi nessuno.

Uscita fino all’aiuola della chiesa della Contrada dell’Onda, i cani anche quella mattina si erano affrettati ad espletare la quotidiana fisiologia. Vicino a noi un giovane uomo fotografava il panorama da Fontanella, praticamente un quadro. La città di Siena si stagliava come un enorme presepe vivente.

Allora mi sentii in obbligo di giustificare la nostra presenza … «Mi scusi sa se proprio qui … accanto a Lei … i miei cani …»

Ecco riaffiorare il ricordo di quell’uomo, doveva avere circa la mia età, veniva da Milano. Era solo. Diceva di essere ritornato a Siena dopo molti anni per rivederla. E prese a camminare nella nostra direzione, mi chiese indicazioni per Porta Tufi. «Proprio da questa parte. Venga».

Questo visitatore solitario venuto dalla Lombardia, misteriosamente e quasi in incognito, pareva ai miei occhi odierni un funesto presagio. Quasi si fosse trattato di un untore, dall’andatura casuale e distratta.

Di solito un turista non va spesso in quella direzione, ma certo ognuno può avere una sua buona ragione per fare qualcosa e per molto altro, per molto altro. Non gli feci domande. Lo trovo indiscreto farne.

Anche lui aveva un cane a casa, quindi l’argomento in comune era chiaro. Si parlava di cani. E anche lui aveva un figlio, quindi si poteva variare dal cane ai cani e dal figlio ai figli. Avevamo cani e avevamo figli. Era una buona conversazione vivace e neutra.

Eravamo passati intanto al consiglio su di un buon ristorante. Non c’erano grossi dubbi per me, era un’abitudine sapere dove mandare le persone a colpo sicuro. Agli Italiani abbinavo anche il buon prezzo, era sempre ben accetto. «Vada in quella trattoria, sarà soddisfatto. La cucina è tradizionale senese, casalinga e il personale svelto».

A circa metà dell’anello (allora non lo consideravo il mio massimo circolo di libertà, ma al contrario il minimo per una breve passeggiata quando non avevo affatto tempo) le nostre strade divergevano. Quasi con sollievo, forse reciproco.

I saluti cordiali e il dubbio di chiedere il nome all’ultimo momento mi venne, ma non si chiese, non lo sapremo mai il nome l’uno dell’altro.

E oggi in una giornata, dall’aria fresca e il sole leggermente velato rivedevo la figura di questo mio coetaneo apparso dal nulla, che diceva di aver fatto il militare qui, molti anni prima. Strano fare il militare a Siena. Avevo pensato silenziosamente.

E da Milano sembrava venire ad annunciare con la sua solitudine, quello che sarebbe poi successo. Il virus sarebbe partito da Codogno, dalla provincia milanese ricca ed efficiente.

L’isolamento sarebbe arrivato fino a qui, una volta sceso via via ad investire ognuno di noi e le nostre vite, le nostre città ignare di tutto, i nostri cani che non si sarebbero resi conto di niente e i manifesti muti di eventi mai successi.

I figli, che avrebbero smesso di andare a scuola, di praticare lo sport preferito, di giocare e uscire coi compagni di classe. Loro avrebbero capito, che era per il bene di tutti? Quanto avrei dato per poterli far giocare a calcio su un prato … Noi il giardino non ci s’aveva.

Perché quell’uomo era qui per trascorrere un fine settimana completamente solo?

So che non tossiva, no non era malato. Forse sapeva già o non sapeva di sapere di più.

Era voluto ritornare a Siena, tanto bella la ricordava, e percorrerla ancora vuota del turismo primaverile.

Che non sarebbe mai arrivato questa primavera fino a chissà quando.

Rivedevo in lui come una specie avvertimento.

Ora tutti camminano soli.

Brevemente.

E la paura ci guarda le spalle e ci avvisa ad ogni istante di qualcosa.

Guarda. Il vigile. La mascherina alzata. I documenti. L’autocertificazione. Gli occhi della gente dalle finestre. Il sole primaverile illumina ogni strada. Ricorda dove vai. E se è essenziale. Con chi parli fuori. I metri. Quanti diamine saranno 200 metri. Cerca su Google Maps. Ritorna a casa. Amazon arriva il pacchetto. Fotocopiare altre autocertificazioni. Notizie alla radio. L’Italia è al centro del mondo. Farmacia. Stai in fila. I guanti. Nessun sorriso intorno. La linea Internet se funziona. Noi insieme a casa.

E solo questo conta. Siamo noi a casa, insieme.

A prenderci il tempo tutto.

Una volta tanto.

Guardando il futuro.

E sperando in esso.

Ogni giorno.

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